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Imposte comunali sulla pubblicità, nullità degli aumenti


Imposte comunali sulla pubblicità, nullità degli aumenti

I commercialisti fanno chiarezza sulla questione dopo la risoluzione del MEF del 14 maggio e la sentenza della Corte Costituzionale di gennaio.
 
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Con Risoluzione n. 2 DF del 14 maggio 2018, il Dipartimento delle Finanze del MEF, ha risposto alla richiesta di un parere in ordine a quanto sancito dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 10 gennaio 2018, n. 15, al fine di chiarire gli effetti dell’intervenuta abrogazione della facoltà di disporre gli aumenti dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni (ICPDPA)  sulle tariffe applicate dalle amministrazioni comunali e prorogate in forma espressa o tacita a partire dal 2013.
 
La complessa vicenda interpretativa richiamata e riassunta nella Risoluzione in questione conferma l’abrogazione delle disposizioni di cui agli artt. 9 e 11 della legge n. 449 del 1997 (Allegato 1, punto 30), e quindi anche del controverso comma 10 dell’abrogato art. 11, il quale prevedeva che “le tariffe e i diritti di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, e successive modificazioni, possono essere aumentati dagli enti locali fino ad un massimo del 20 per cento a decorrere dal 1° gennaio 1998 e fino a un massimo del 50 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2000 per le superfici superiori al metro quadrato, e le frazioni di esso si arrotondano al mezzo metro quadrato”.
 
E’ sorta quindi la necessità di chiarire gli effetti dell’abrogazione al fine di comprendere la legittimità o meno di delibere adottate (di conferma, esplicita o tacita, delle tariffe comprensive di maggiorazioni disposte in base alla norma abrogata) per gli anni successivi all’entrata in vigore della norma abrogativa.
 
In merito la Corte Costituzionale ha chiarito che la norma interpretativa introdotta dall’art. 1, comma 739, della legge n. 208 del 2015 si è limitata a precisare “la salvezza degli aumenti deliberati al 26 giugno 2012”, non potendo l’abrogazione disposta dal D. L. n. 83 del 2012 “far cadere le delibere già adottate”, essendo “il 26 giugno del 2012 [...]il termine ultimo per la validità delle maggiorazioni disposte per l’anno d’imposta 2012”. La Corte ha inteso quindi evidenziare che il comma 739 non ha disposto nulla in merito alla possibilità di confermare o prorogare, successivamente al 2012, di anno in anno, le tariffe maggiorate richiamando il principio di diritto amministrativo, secondo cui “anche il potere di conferma, tacita o esplicita, in quanto espressione di potere deliberativo, debba tener conto della legislazione vigente”.
 
La data del 26 giugno 2012 è quindi lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo regime entro il quale una delibera approvativa o confermativa delle richiamate maggiorazioni è da ritenersi legittima e quindi idonea a rendere efficace la richiesta di pagamento delle stesse da parte dell’ente locale.
 
Il Dipartimento delle finanze del MEF conclude la propria risoluzione in commento chiarendo che a partire dall’anno di imposta 2013 i comuni non erano più legittimati a introdurre o confermare, anche tacitamente, le maggiorazioni tariffarie in questione.
Ne consegue che allo stato di evoluzione normativa e giurisprunziale sembra legittima la richiesta di rimborso al Comune della quota parte di imposta relativa a maggiorazioni deliberate o confermate con delibere comunali intervenute dal 2013.
 
 
Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Firenze